02 maggio 2018

Se l’impresa è “incubata”

Come nasce una start up? O meglio, ci sono delle situazioni che possono favorire la nascita di un’impresa? Facciamo degli esempi: sarebbe molto utile avere già da subito degli spazi dove lavorare con il proprio team. Oppure poter ricorrere all’esperienza di qualcuno con le giuste competenze che ci aiuti a testare l’idea che abbiamo in mente e anche ci spieghi bene cosa significa sviluppare un business plan. Ma, ancora più pragmaticamente, non sarebbe davvero male poter contare su un esperto che ci guidi anche nella selva di adempimenti amministrativi legali e giuridici. Come già visto in numerosi degli EOSditoriali pubblicati in passato, creare un’impresa non è certo una cosa semplice. Ecco perché qualcuno ha pensato di dare una risposta a tutte queste esigenze attraverso, a sua volta, un’idea nuova: gli “incubatori”.

Partiamo dalla definizione: un incubatore è un’ organizzazione che supporta attivamente il processo di creazione e sviluppo di nuove imprese innovative attraverso una serie di servizi e risorse offerti sia direttamente sia attraverso una rete di partner. Un fenomeno che ha visto una forte accelerazione negli ultimi anni sotto la spinta di una maggiore attenzione all’imprenditorialità come motore di sviluppo economico e sociale. Una spinta che arriva anche e soprattutto dal basso, dai giovani come voi che, cambiando il mondo del lavoro, decidono di creare la propria impresa cavalcando per esempio le nuove opportunità offerte dalla tecnologia, da ambiti emergenti come salute e benessere fino ai bisogni sociali e di welfare delle future società.

CONOSCERE GLI INCUBATORI

Gli incubatori si occupano quindi di tutte quelle realtà imprenditoriali che coltivano forti idee ma che hanno bisogno di mezzi e supporto per svilupparsi e crescere, per poi arrivare a camminare da sole. Per conoscere meglio questo mondo, il Politecnico di Torino ha elaborato il primo report sull’impatto sociale degli incubatori e acceleratori italiani, un’analisi sviluppata dal Social Innovation Monitor (SIM) dell’Univerisità torinese in collaborazione con Italia Startup e con il supporto di Cariplo Factory, Compagnia di San Paolo, Impact Hub Milano, Make a Cube, SocialFare, e Social Innovation Teams (SIT).

Perché si parla di impatto sociale quando ci si riferisce agli “incubatori”? Perché ci sono almeno due aspetti da tenere in considerazione. Il primo è che nuove imprese che nascono, crescono e prosperano portano nuovi posti di lavoro, sviluppo del territorio, opportunità di competenze. Le sime dell’analisi indicano come le startup incubate in Italia nel 2016 sono state circa 2.000 e hanno offerto lavoro a più di 4.000 dipendenti con un fatturato totale di poco inferiore ai 300 milioni di euro.

La seconda considerazione, è che molte di queste start up si prefiggono l’esplicito obiettivo di avere un significativo impatto sociale. Lo stesso studio del Politecnico distingue l’impresa a significativo impatto sociale definendola come organizzazione che introduce innovazione sociale. Secondo la definizione più difffusa (Phills et all, 2008), l’innovazione sociale è una soluzione nuova per una problema sociale che è più efficace, efficiente e sostenibile, o giusta rispetto a una soluzione già esistente e grazie alla quale si crea valore primariamente per la società nel suo complesso piuttosto che solo per individui privati.

In Italia ci sono 162 incubatori che per quasi il 60% si trovano in Italia settentrionale. La Lombardia è la regione che ospita il maggior numero di incubatori, il 25,3% del totale, seguita dalla Toscana 9,9% e dall’Emilia Romagna 9,3%. Gli incubatori possono essere suddivisi in tre categorie:

  1. Incubatori pubblici: organizzazioni gestite esclusivamente da amministrazioni o enti pubblici, spesso tramite la creazione di società «in-house» regionali.
  2. Incubatori pubblico-privati: organizzazioni la cui compagine sociale include sia soggetti pubblici che privai.
  3. Incubatori privati: organizzazioni gestite esclusivamente da soggetti privati.

I dati mostrano come più del 60% degli incubatori italiani abbia natura privata. Solo una piccola percentuale ha invece natura pubblica. Per quanto riguarda il settore di attività, circa il 40% delle startup opera in servizi di informazione e comunicazione, mentre il secondo settore più rappresentato è legato ad attività professionali, scientifiche e tecniche (25,8%).

LA GEOGRAFIA DELLE START UP A IMPATTO SOCIALE

Per capire se e quanto gli incubatori italiani stanno sostenendo imprese a significativo impatto sociale la ricerca del Politecnico di Torino ha elaborato una apposita classificazione degli incubatori stessi. Questo ha permesso di confrontare i diversi approcci adottai dagli incubatori nei confronti di questa nuova categoria di imprese. Le tipologie identificate sono le seguenti:

  • Business incubators - 0% di incubate a significativo impatto sociale rispetto al totale
  • Mixed incubators – da una al 50% di incubate a significativo impatto sociale rispetto al totale
  • Social incubators – Più del 50% di incubate a significativo impatto sociale rispetto al totale. Non sorprende come dall’analisi emerga anche che questo tipo di incubatori considerino più rilevante rispetto ai business e ai mixed, l’offerta di servizi di valutazione dell’impatto sociale e di formazione e consulenza su Csr ed etica aziendale.

In base a questa classificazione è emerso che più della metà degli incubatori ha supportato organizzazioni a significativo impatto sociale. Il 90% dei social incubators ha natura privata, uno su dieci ha natura pubblica. Anche i mixed incubators hanno prevalentemente natura privata (63,6%), mentre i business incubators sono quasi equamente suddivisi tra natura pubblica 30%, pubblico-privata 35% e privata 35%.

Analizzando i settori di appartenenza di queste organizzazioni, quello più rappresentato è legato alla cultura, alle arti e all’artigianato, mentre al secondo posto si trova il settore che include le organizzazioni che operano in ambiti legati alla salute e al benessere (18%). Per quanto riguarda le imprese, sempre nel caso degli incubatori che basano la propria mission sul supporto a organizzazioni a impatto sociale, emerge che, in media, circa il 60% delle organizzazioni incubate è composto da imprese ibride. Per imprese ibride si intendono le imprese che, pur essendo for-profit, destinano parte degli utili a scopi sociali o hanno esplicitamente tra i propri obiettivi degli obiettivi sociali. E il fatturato di queste imprese a impatto sociale? Non si discosta di molto: quello delle startup a significativo impatto sociale, rispetto a quelle che non lo sono, è di poco inferiore (123 mila euro contro i 127 mila della controparte). Risulta essere invece più elevato il numero di dipendenti medio: 2,6 contro 1,7.

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