07 maggio 2018

Così si fa innovazione sociale

Cosa significa fare oggi innovazionazione sociale? Come viene vissuta l'imprenditorialità dai giovani e quali le idee che riescono meglio? Dopo aver effettuato un viaggio nel mondo degli incubatori e aver capito che per passare dall'idea all'impresa di lavoro ce ne è molto, incontriamo Fabrizio Sammarco, a capo della divisione che in ItaliaCamp si dedica allo sviluppo del business con l’obiettivo di creare soluzioni innovative ad alto impatto sociale, economico e ambientale per il Paese. ItaliaCamp nasce infatti come associazione che aggrega persone, istituzioni e organizzazioni a livello territoriale per promuovere e sostenere progetti e processi di innovazione sociale. Lo fa utilizzando lo strumento delle call for ideas, promuovendo occasioni di confronto, valorizzando la propria rete di relazioni con stakeholder territoriali. Accanto all'anima associativa c'è poi una dimensione più imprenditoriale, guidata da Sammarco, che è attiva lungo tre direttrici principali: il Milano Hub management, spazio polifunzionale dedicato alla presentazione, esposizione e sperimentazione di prodotti innovativi; l'area Placement & Innovation attiva su progetti e modelli di Open Innovation per aziende corporate e amministrazioni pubbliche; servizi di misurazione dell'impatto positivo generato dalle attività nel contesto economico di riferimento.

Cosa significa oggi fare innovazione sociale?

L’innovazione sociale è un insieme di fenomeni che nel complesso pongono in essere una modifica al sistema di relazioni a cui siamo stati abituati e che, alla fine, rappresentano una soluzione efficace e innovativa a bisogni sociali emergenti di persone e comunità territoriali. Fare innovazione sociale significa, quindi, ricercare, sostenere e promuovere lo sviluppo di idee e soluzioni che oltre alla sostenibilità economica abbiano la capacità di innescare processi nuovi di aggregazione e sviluppo durevoli nel tempo con impatto positivo per la gente.

Che cosa fa nello specifico ItaliaCamp?

ItaliaCamp è stata fondata, da un gruppo di giovani adulti, 8 anni fa, e da allora, indipendentemente dalla crescita diversificata che abbiamo avuto, ci occupiamo di difendere il motivo per cui il progetto è nato: generare valore per il nostro Paese. Come? connettendo chi ha una buona idea e chi invece ha il potere economico e istituzionale di poterne facilitare la realizzazione. Svolgiamo questa attività a trecento sessanta gradi: dal supporto ad istituzioni nazionali (Ministeri) e territoriali (come i comuni) fino ad occuparci del rapporto con grandi corporate e multinazionali. Il tutto sempre con una forte attenzione all’innovazione sociale e alla creazione di impatto condiviso. Per questo oggi ItaliaCamp, insieme al business, è attenta a sviluppare percorsi di ricerca sull’innovazione sociale e misurazione della finanza di impatto: lo facciamo attraverso il Centro Studi per l’Innovazione Sociale e la recente Cattedra sulla Misurazione dell’Impatto (Impact e Integrated Reporting) istituita nel dipartimento di Impresa e Management dell’Università LUISS Guido Carli, con l’obiettivo di tracciare e rendere misurabile tutto quello che facciamo noi e i nostri partner di progetto.

In base alla vostra esperienza, qual è la situazione dell’Italia nell’innovazione sociale, e in particolare nell’imprenditorialità dell’innovazione sociale?

Il nostro Paese, per tradizione storica, culturale e sensibilità, presta molta attenzione al tema della solidarietà. Tuttavia, siamo anche il Paese in cui a volte, l’imprenditoria sociale fa maggiore difficoltà ad affermarsi proprio perché necessita di un contesto normativo e di “mercato” che talvolta, tardano ad affermarsi come invece, spontaneamente, accade negli altri Paesi Europei. Grazie all’apertura ai casi di successo esistenti a livello internazionale, le cose stanno molto cambiando anche nel nostro Paese e si stanno sviluppando best practice finalizzate a favorire, ad esempio, l’azione congiunta di Istituzioni e soggetti privati su tematiche di interesse pubblico e ad evitare che vi siano più progetti e strumenti su di uno stesso progetto. La nostra proposta sul tema è di far evolvere l’anglosassone logica delle Public e Private Partnership per inserire al centro le Persone e quindi far diventare il partenariato pubblico-privato in una forma di cooperazione tra poteri pubblici e privati che ponga al centro l’impatto generato specificatamente per le Persone più che il finanziamento di infrastrutture o servizi di un più generico interesse pubblico.

In Italia che tipologie di giovani imprenditori sociali ci troviamo davanti?

In Italia ci troviamo di fronte a differenti tipologie di imprenditori sociali: ci sono “rampanti” startupper che attraverso la propria attività ambiscono ad accreditarsi come agenti del cambiamento creando nuovo e concreto valore per il contesto in cui vivono, poi ci sono imprenditori di prima o seconda generazione, con attività più tradizionali, anche familiari, che avvertono particolarmente il tema della durabilità della propria azione.

L’imprenditorialità, intesa in senso ampio (anche di sviluppo di competenze per il proprio futuro lavorativo), come viene vissuta dai giovani italiani?

Rispondo riprendendo in parte quella che è stata la nostra esperienza con ItaliaCamp, un progetto, oggi impresa sul mercato, che nasce grazie alla spinta e allo spirito visionario di un gruppo di giovani neolaureati. I giovani italiani hanno un’ottima percezione dell’impresa: in generale, per quello che abbiamo visto girando il Paese alla ricerca di progetti innovativi nelle Università, i giovani concepiscono l’impresa come un’esperienza attraverso cui applicare la propria creatività per costruire il proprio futuro. In generale dunque la sfida dell’imprenditoria viene vissuta in termini molto positivi e infatti, elaborazioni della Camera di Commercio di Monza e Brianza su dati Istati del 2017, affermano che il 30,5 % sul totale imprese fondate (110.000 circa) su tutto il territorio nazionale è conduzione giovanile (18-34 anni). Questo la dice lunga e in termini concreti sulla capacità dei giovani italiani di volersi cimentare nell’attività d’impresa.

Il punto su cui riflettere non è tanto la capacità o la volontà dei giovani italiani di avviare un’attività imprenditoriale quanto invece gli strumenti che i giovani imprenditori hanno per dotarsi di personale qualificato e soprattutto per sostenere la propria attività. Bisogna, a vario titolo, rafforzare gli strumenti attualmente a disposizione anche cogliendo l’opportunità di finanziamenti europei e fare in modo che i giovani imprenditori possano crescere passando dalla fase di START a quella UP. Ricordiamoci sempre che la parola start-up è una parola composta da due distinte fasi che ne determinano il suo più profondo significato: dopo essere partiti, infatti, bisogna crescere terminando di essere startup per diventare impresa nel vero senso della parola, oppure, nel peggiore dei casi in cerca di nuova occupazione.

Quali sono le idee che riescono meglio?

Bisogna fare una premessa molto concreta: le idee che riescono meglio sono, ovviamente, quelle che sono capaci di generare un flusso di sostenibilità economica che sia in grado di coinvolgere e sfruttare tutti i principali attori che ci sono sul territorio dove esse nascono. In quest’ottica, le idee che riescono meglio sono le idee che, per essere sviluppate, presuppongono la creazione di un impatto tangibile sulla comunità e che, quindi, costruiscono un network di relazioni stabili con il territorio: a partire dai cittadini, passando per le istituzioni, le imprese, le istituzioni scolastiche e formative. Un’idea che riesce è un’idea che non solo viene concretizzata ma che risulta capace di autopromuoversi e svilupparsi nel tempo per fare questo servono persone effettivamente all’altezza.

Perché è difficile fare innovazione sociale?

Fare innovazione sociale non è difficile anzi tutt’altro. Molte imprese talvolta si trovano a mettere in campo azioni che hanno degli effetti classificabili, in un certo senso, come innovazione sociale. Il problema, credo, è che, finora, molte azioni e molti interventi sono stati realizzati senza un quadro di riferimento comune sia in termini di regole che di strumenti finanziari. Con il risultato di avere molteplici azioni e molteplici attività sugli stessi obiettivi, con il rischio che tutto possa sembra innovazione sociale ma che così non è. Alla base dunque c’è la comprensione e lo studio di che cosa l’innovazione sociale è e che cosa rappresenta per l’azienda in cui ci troviamo ad operare. Senza perdere mai di vista il contesto sociale perché è su di esso che l’innovazione sociale si misura in termini di risposta a bisogni emergenti.

Che consiglio dareste a chi vuole fare impresa a impatto sociale e innovazione sociale?

Chi vuole fare impresa sociale e favorire processi di innovazione sociale ha innanzitutto da pensare a come la propria idea, la propria impresa può apportare un miglioramento al contesto sociale presentano un nuovo modo di rispondere a un bisogno sociale evidente o latente e quindi di prossima “esplosione” per: il condominio, quartiere, comune, città o Paese in cui viva. In secondo luogo, criterio base per ogni attività d’impresa, è la sostenibilità economica: un’impresa sociale è tale se generando un impatto sociale riesce al contempo a garantire per sé un modello di sostenibilità economica. In caso contrario è attività di volontariato e puro non profit che ha una logica differente rispetto all’impresa sociale.

E più in generale per chi vuole fare impresa?

Il consiglio che mi sento di rivolgere a chi vuole fare imprese è molto semplice, essenziale: non lasciare mai che qualcuno, sia esso un amico o un professionista, tagli le gambe a quella che è la propria idea da realizzare. Al primo posto, quindi, metterei la convinzione o meglio, la caparbietà nel perseguire sempre il proprio obiettivo, provandoci sino alla fine.