23 febbraio 2018

Educazione all’imprenditorialità, il gap si chiude

Fino a qualche anno fa il nostro Paese “brillava” in Europa per l’assenza dell’espressione “educazione all’imprenditorialità” nei testi delle policy educative. Rispetto a questa situazione, negli ultimi anni c’è stata un’accelerazione, anche grazie alla spinta di Pact4Youth e al lavoro fatto nell’ambito del Piano di azione nazionale. Capofila di questo sforzo è stata Junior Achievement (JA), organizzazione non profit che opera a livello mondiale per l’educazione economico-imprenditoriale nella scuola. Ci racconta il lavoro fatto fino a qui Miriam Cresta, Chief Executive Officer di JA Italia.

Quali progressi sono stati fatti sul fronte dell’educazione all’imprenditorialità grazie a Pact4Youth?

Nell’ambito del Piano di azione nazionale abbiamo creato un Hub multi-stakeholder per l’educazione all’imprenditorialità che ha lavorato su due fronti: il fronte istituzionale e quello con il mondo imprenditoriale. Da un lato abbiamo portato all’attenzione del Miur la tematica che è entrata nell’agenda del Piano Nazionale Scuola Digitale e ha trovato un filone di finanziamento dedicato attraverso il PON (Programma operativo nazionale). Inoltre, il Miur ha costituito la Coalizione Nazionale per l’Imprenditorialità che ha messo a sistema le azioni locali e nazionali dei vari interlocutori ed elaborato un sillabo, basato sul documento europeo Entrecomp, che sarà la base per il curriculum di educazione all’imprenditorialità per le scuole superiori. Dall’altro abbiamo sensibilizzato le imprese sulle modalità con cui attuare l’Alternanza Scuola-Lavoro attraverso anche programmi di educazione imprenditoriale. Le due cose infatti possono e devono convivere. Le aziende che fanno alternanza non dovrebbero fermarsi solo alle competenze tecniche, ma dovrebbero abbinare a questi percorsi formativi anche le soft skill come la capacità di lavorare in gruppo, la resilienza, l’approccio alla risoluzione dei problemi, la gestione del tempo e delle scadenze.

Quali le difficoltà culturali?

Quando si introduce il temine imprenditorialità in Italia viene spontaneo associarlo alla figura dell’imprenditore. Tuttavia, questo non è corretto. L’obiettivo di un progetto di educazione imprenditoriale è avere studenti e studentesse che abbiamo un approccio più che una vocazione imprenditoriale; che sviluppino una serie di competenze trasversali come bagaglio formativo importante e associato all’occupability, ossia alla capacità di “essere occupati”. In altre parole, significa attivare la proattività e le potenzialità degli studenti e delle studentesse, la loro capacità di orientarsi al meglio nelle scelte lavorative, di farsi un proprio piano personale di carriera. Esigenza sempre più necessaria per i più giovani che saranno destinati a cambiare nella loro vita sei o sette lavori.

Cosa significa in concreto educare all’imprenditorialità?

Non è una materia, ma un metodo esperienziale che costringe i docenti a cambiare approccio, nella direzione di un maggior coinvolgimento, di cui il digitale è solo un elemento. Il vero driver di un progetto di educazione imprenditoriale è infatti il docente e questo è uno dei motivi per cui prevediamo dei corsi di formazione per l’insegnante a cui si fornisce un metodo che diventa una nuova modalità per presentare le proprie lezioni in classe. Quello che fanno già gli altri Paesi, e che dovrebbe fare anche l’Italia, è inserire questi corsi nei percorsi di preparazione all’insegnamento.

Qual è il ruolo della Coalizione lanciata dal Miur?

Oltre ad assicurare un raccordo tra le iniziative di educazione imprenditoriale portare avanti dai 40 aderenti dovrà attivare eventi sui territori con il coinvolgimento di tutta la comunità imprenditoriale locale. L’educazione imprenditoriale non è solo leva per l’occupabilità dei giovani ma anche per lo sviluppo sociale dei territori. In Europa è già stato dimostrato che le comunità locali coinvolte in programmi di educazione imprenditoriale ne ricavavano concreti benefici in termini di sviluppo. Questo perché spesso i giovani, o hanno dato risposte ai bisogni della comunità in una logica di auto-imprenditorialità, oppure sono andati a innovare aziende locali tradizionali o ancora sono diventati cittadini attivi.

Che differenza c’è tra la Coalizione del Miur e l’EE-Hub di Pact4Youth?

L’EE-Hub raccoglie imprese attive da tempo sui temi dell’educazione all’imprenditorialità molte sostenitrici di Junior Achievement che stanno investendo in una logica di lungo periodo nel sistema scolastico italiano e con un’attenzione alla misurazione dell’impatto dell’investimento in termini di ritorno sociale (SROI-Social Return On Investment) nella comunità. Gli esiti sono interessanti perché dalla prima analisi effettuata nel 2017 risulta che per ogni euro investito ne sono ritornati 4,42, oltre all’impatto generato sulle competenze dei giovani.

Come JA sta portando avanti l’educazione all’imprenditorialità?

Oltre a lavorare nella cabina di regia del Pact4Youth attraverso l’EE-hub, abbiamo approvato un piano triennale che prevede di raddoppiare l’attuale numero di studenti raggiunti consolidando il programma Impresa in azione basato sul modello della mini impresa: significa trasformare la classe in una mini impresa per 80-100 ore per far sì che i giovani apprendano le competenze trasversali collegate e raggiungendo anche gli studenti delle scuole secondarie di I grado. Servono dispositivi semplici e replicabili che si possano applicare diffusamente. A prescindere dal modello scelto, la cosa importante è che si applichi nelle classi un metodo esperienziale e si attivi la comunità imprenditoriale locale. Altrimenti non si sta facendo educazione all’imprenditorialità, ma un corso di economia aziendale.

Quale la risposta dei ragazzi?

Nell’ultima nostra ricerca, del 2015, è emerso un livello maggiore di motivazione e predisposizione a considerare la formazione un investimento. Il risultato è che i ragazzi restano nei circuiti formativi e scolastici. Inoltre, i ragazzi hanno più chiaro quello che sanno fare e scelgono meglio il loro futuro scolastico e lavorativo. In altri termini l’educazione all’imprenditorialità diventa una leva per combattere la dispersione scolastica e una leva per l’orientamento. Capita anche che alcune idee diventano prodotti e servizi: alcuni ragazzi scoprono questa vocazione e poi proseguono su questa strada oppure si inseriscono nelle attività dei genitori portando le loro idee e la loro innovazione, come per esempio nuovi brevetti.

E degli insegnanti?

Per i docenti c’è il tema della relazione con gli studenti che diventa più solida e una maggiore disponibilità ad aprirsi a esperienze fuori da scuola. Le criticità sono legate al fatto che i docenti disponibili non sono ancora la maggior parte, sono pochi e si ritrovano ad avere un carico impegnativo. L’educazione all’imprenditorialità deve però essere una progettualità condivisa, anche in termini di ore. Non va considerata come una materia a sé ma come una modalità didattica a beneficio di diverse discipline. Per fare ciò occorre sviluppare l’interdisciplinarità.